Emotional Breakdown


Git Some – Cosmic Rock by matteo

Il primo che mi critica i Git Some prende le mazzate. Mi sono reso conto solo ora che non abbiamo mai menzionato su queste pagine uno dei gruppi più interessanti nati nel 2008 – e sul quale scommetterei dei bei dollaroni per il futuro. Perchè direte voi? Il motivo é semplice. Stiamo arrivando alla fine di un ciclo musicale rimasto in mano a gruppi che risputano le stesse cose aggiungendo qualcosa qua e là, ma senza mai finire con un prodotto che veramente può essere considerato inconfodibile, o proprio. E’ chiaro che se io avessi un gruppo farei la stessa identica cosa mille volte peggio, ed invece di concentrarmi nel suonare bene ai concerti cercherei di fare le mossette con il microfono – oltre al fatto che se ogni due minuti uscisse un gruppo con un nuovo genere sarebbe una porcata. Dunque tiriamo un sospiro di sollievo in questo momento che possiamo assistere, non proprio alla nascita, ma alla crescita dell’hardcore tinto di stoner e rock’n’roll di matrice ’70-’80. Chiamatelo stonercore, rock’n’core, stonerpunk, oppure non chiamatelo per niente che forse é meglio, ma mettete in cuffia Cosmic Rock e saprete di cosa sto parlando.

Una delle migliori descrizioni che abbia mai letto riguardo ad un gruppo: (da 1-2-3-4 Go Records)

Mettete in una scatola:

“First 4 years” dei Black Flag

I primi due dischi dei Jesus Lizard

Un paio di dischi dei Hawkind

Un disco dei Drive-Like-Jehu

Qualche canzone dei Rolling Stones

Qualche scatola di cereali

Una bustina di fumo

Una bottiglia di whisky

Un 7 di Jimi Hendrix

Una copia di Lucifer Rising

Una copia di The Holy Mountain

Ed ecco un disco di cui sentiremo parlare molto spesso. Non ora però, sono troppo avanti.

Myspace:

http://www.myspace.com/fuckengitsome

Theirspace:

http://rapidshare.com/files/132067108/git_some_-_cosmic_rock.zip.html

Matteo



La Piovra – The First Discovered Treasures by matteo
gennaio 30, 2009, 8:04 PM
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Ogni volta che sento questo disco é come se fosse la prima. Mi sento toccato in ogni dove; cuore, testa e sedere. Si vede che i miei gruppi italiani preferiti debbano avere come requisito nel loro nome l’articolo LA – (difficile indovinare quale sia l’altro gruppo) ma erano anni che non mi entusiasmavo così per un gruppo del bel paese. The First Discovered Treasures é una sorta di discography, che oltre ad avere una delle copertine più belle del secolo ha anche dodici pezzi che più in-your-face di così si muore, dei veri e propri fulmini di goduria. Ex-L’Amico di Martucci (e probabilmente altri), i La Piovra sono difficilmente accostabili ad un solo tipo di sound, essendo il risultato di un frullato (a full speed) di Minor Threat, Jellyroll Rockheads e Youth Attack.

Punk’n’roll! Fooooortee.

Ascolta:

http://www.myspace.com/lapiovra

Scarica:
http://www.megaupload.com/nl/?d=TCAP3LPX

Matteo



Sons of Vesta Fest #04 by matteo

5 dicembre
A FLOWER KOLLAPSED (diodelrumorechefastidioaahhhhlemieorecchie)
DES ARK (meregans con le palle quadrate, post-tutto, vi piacciono sicuramente)
LA QUIETE (piacciono perfino a carlo pastore, anche se non rispettano la musica)
DAITRO (screamo chettelodicoaffare, francia)
RAEIN (7 chitarre, 8 cantanti, la piramide che emerge dalle sabbie del tempo)

6 dicembre
AGATHA (ragazze per bene che convivono col turpe segreto del growl)
CELESTE (ex mihai edrisch, confusi tra metal e screamo, francia)
LADY TORNADO (brutti, sporchi, rozzi e cattivi tra rock e grind)
MARNERO (ragazzi coi breach nelle cuffie alla fermata del bus)
NEIL ON IMPRESSION (plin plin, vroom vroooom, gighigìn, pelle d’oca)
UN QUARTO MORTO (il disagio dalla provincia aka come sopravvivere a una città di merda)

Noi ci siamo.

Matteo



Sorry by mattiaebd
settembre 18, 2008, 7:13 PM
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I Sorry sono il gruppo ideale per farsi un’idea dei confini di quella terra di nessuno che sono gli anni ’80 per il punk/hardcore, quel marasma indefinito di fermenti che racchiude in sè – seppur in forma embrionale – buona parte della musica oggi genericamente definita indie: i Sorry vengono dopo l’hardcore e il punk, prima delle mille correnti successive – emo, shoegaze, post-rock, lo-fi, noise, grunge e via all’infinito. Potrebbero essere un pò tutto questo messo assieme – come tanti loro compagni d’avventura di quegli anni – e volendo pastrocchiare con i suffissi potrebbero essere post- un sacco di cose e proto- un sacco di altre cose: successori e precursori, così com’è nel normale corso delle cose, ma in un modo tutto loro che neppure a posteriori, a venticinque anni di distanza, è possibile racchiudere in definizioni.
Ancora scottati dalla morte del punk e dalla sua risurrezione sotto la forma hardcore, i Sorry vogliono al tempo stesso perfezionare e distruggere la forma canzone punk: si fanno così ricettori senza filtri dell’insegnamento dei Minutemen, innovatori e sperimentatori quasi senza accorgersene: difficile capire dove finisca la consapevolezza in ciò che fanno. Di certo non passava inosservata una band hardcore – o perlomeno così definita e a tutti gli effetti facente parte di quella scena – con un sassofonista in formazione, ma la spontaneità con cui i Sorry tentano quasi ad ogni brano nuove soluzioni, sempre fuori sincrono, è qualcosa che ha ben poco a che fare con la razionalità, è puro istinto e passione. Si sente il piacere di suonare qualcosa di diverso, un piacere che forse è persino necessità, un bisogno personale, esistenziale. I Sorry non cercano un’identità musicale, ma qualcosa di più: distruggono tutto il conosciuto, tutto ciò che rientra nella normalità per ritrovarsi protagonisti in mezzo al vuoto, finalmente artefici della propria musica, capaci di manipolare qualcosa di esistente. Tutto quello che non riuscivano ad essere nell’America di Reagan, specialmente a Boston, uno dei fulcri del disagio giovanile americano, la stessa metropoli asfissiante che stuzziccherà la ribellione sonora di Slapshot e Converge, giusto per fare due nomi.
Tutto questo succede nel 1982 ma già l’anno prima il chitarrista David Kleiler e il bassista Chuck Hahn, ancora giovanissimi, formano un trio di new wave psicotica e sperimentale, gli Origin of Species. Mostrano già ammirazione per il nuovo che avanza degli scantinati americani, assaporano con gusto il rumore della Grande Mela, non si lasciano sfuggire il delirio annichilente della no wave – è qui che imparano il fascino di un sax oltraggiato nel rock profano. Sono ragazzini, ma fanno sul serio: idee chiare e progetti concreti, coraggio, inventiva. Il trio si sfalda in breve tempo: il ragazzo della loro età – tra i diciasette e i diciotto – che completa la formazione è troppo sbronzo e troppo incapace per fare le cose sul serio e l’incontro con Jon Easley è l’occasione buona per ricominciare da zero. Jon è carismatico ed eccentrico e sa cantare bene: nascono i Sorry con Andy Berstein alla batteria, già conosciuto ai tempi degli Origin Of Species, e Nate Bowditch al sax.
E’ il 1982, dicevamo, ovvero l’anno dell’orgoglio hardcore di Boston con l’uscita della storica compilation This Is Boston, Not L.A.; Washington D.C. è lì vicina e stanno succedendo delle cose mica da poco; i Minutemen hanno da poco esordito e la SST lavora a pieno regime. I Sorry sono là in mezzo, dentro un pentolone che sta per esplodere: bolle musica nuova, dirompente, vitale. Sapranno dire la loro con due album di indubbio valore, Imaginary Friend del 1984 e The Way It Is del 1986. Il primo dei due forse uno dei dischi “hardcore” più ingiustamente dimenticati.
Il 1986 è anche l’anno del definitivo scioglimento: David e Chuck formerano i Volcano Suns, band di maggior fortuna mediatica e che sostanzialmente non è altro che la meta definitiva della ricerca sonora dei Sorry; Jason finirà nei Burn per poi lasciarci per sempre nel 1988.
Da riscoprire e ricordare.

http://www.mediafire.com/download.php?sztl7lqycsy

Mattia dopo un attacco di logorrea



Raein @ AntiMtvDay 2007 by davidebd
marzo 1, 2008, 12:36 PM
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Ghibo



Agoraphobic Nosebleed/Converge – The Poacher Diaries by xvalerioxebd
febbraio 1, 2008, 11:45 am
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Con questa recensione comincio a riprendere vari cd del passato e proporli a voi lettori. Primo cd ripescato dal passato è questo “The Poacher Diaries” uno split tra due gruppi estremi, di uno spessore elevatissimo, gli Agoraphobic Nosebleed e i Converge. Comincia il terzetto del Massachussets proponendoci 9 tracce di puro grindcore/post-grindcore sulla scia di Napalm Death, The Dillinger Escape Plan e Burnt By The Sun, ovvero una serie di brani corti e velocissimi, caratterizzati da una violenza sonora senza eguali e da una drum machine che pesta a livelli allucinanti. Degne di nota sono soprattutto “Pentagram Constellation” e “Destroyed” dove si può sentire benissimo l’influenza che daranno i tre membri degli Agoraphobic Nosebleed su quella microscena che uscirà leggermente alla ribalta qualche anno dopo, assieme a band come i già citati Dillinger Escape Plan, i Daughters o gli Holy Molar: “Gringo” invece sembra uscita direttamente da uno scontro tra gli Spazz e i compagni di split Converge mentre rallentano la corsa solo con la conclusiva “Infected Womb”. Pollice su quindi per gli Agoraphobic Nosebleed, che in questo disco dimostrano di saper trattare la materia grind come dei maestri. Passiamo invece alla parte dedicata ai Converge: il quartetto di Salem all’epoca di questo lavoro (il 1999) stava scrivendo il loro capolavoro (quel “Jane Doe” che uscirà due anni dopo e farà e fa tuttora proseliti in tutto il mondo) e lo possiamo notare dai primi due brani presenti scritti dalla band. “Locust Reign” e “This Is Mine” sono considerate ancora adesso, dei cavalli di battaglia della band in sede live, vuoi perché sono alcune delle tracce più brutali (la solita brutalità tecnica che verrà fuori solo con Jane Doe), mai state scritte da Jacob Bannon e soci o vuoi che dal vivo siano le cose più devastanti che la band riesca a tirare fuori: segue poi invece il doom di “They Stretch For Miles”, canzone da dove emerge una calma quasi apocalittica interrotta in alcuni punti dai dialoghi di Johnny Depp tratti da “Paura e Delirio A Las Vegas”. Il resto è roba che possiamo etichettare come il tipico Converge-style ma che non brillano quanto i primi due: “The Great Devastator” è ancora una buona traccia, sulla scia di quanto scritto su “When Forever Comes Crashing”, ovvero violenta, tecnica ma molto più lenta e priva della rabbia hc, “The Human Shield” invece tentenna un pochetto mentre la conclusiva “Minnesota” ricorda da vicino la futura “Jane Doe”, con il suo incedere lento e contorto. In conclusione il cd è una vera e propria perla per chi ama la musica estrema e fuori dagli schemi e qui dentro può trovare sia una buona performance da parte degli Agoraphobic Nosebleed che dei Converge i quali addirittura regalano due must-have ai propri fan. Ah dimenticavo, solo l’artwork eseguito da Jacob Bannon, vale l’acquisto…

xValeriox