Emotional Breakdown


Flowers of Discipline by mattiaebd

Washington, DC. La metà degli anni ’80, una scena musicale che diventa mito, più di quanto non lo sia già: nel febbraio del 1985 i Rites Of Spring mettono al mondo qualcosa che assomiglia molto all’emo. A seguire vengono Embrace, One Last Wish e Moss Icon: tutto in pochi mesi, in pochi chilometri. Una manciata di band che diventano leggenda, qualche ragazzo che diventa eroe e quel nome altisonante – Revolution Summer – a suggellare l’epopea.
Tutto giusto per carità, tutto pienamente condiviso anche dal sottoscritto – Ian MacKaye è il mio Superman, gli Embrace la mia Justice League – ma forse non rende bene l’idea di cosa sia davvero successo in quel periodo.
La pagina di Wikipedia – ecco, diciamo non il massimo della vita se volete capirne di più – inizia con: Revolution Summer refers to the metamorphosis of the punk rock community in the summer of 1985. Cambia un modo di fare e di pensare e quel cambiamento ovviamente ci piace parecchio. Un cambiamento che non riguarda solo quei quattro o cinque nomi che si fanno in ogni occasione – dalla pagina di wikipedia allo speciale che trovate sulle riviste in edicola passando per lo stronzo di turno che ti spiega cos’è l’emo in qualche forum – ma tutta una scena. E allora quasi quasi sarebbe giusto andarli a ripescare i protagonisti – perchè protagonisti lo sono stati tutti per davvero – di questa scena. Magari non tutti, ma qualcuno sì: quelli a cui sono più affezionato e che ricordo con più piacere.
A cominciare dai Flowers of Discipline, ad esempio, rivoluzionari estivi autori di un 7” omonimo nei primi mesi del 1986. Uscì per TeenBeat Records e pure qua se ne potrebbe parlare per mesi: etichetta indipendente fondata nel 1985 da Mark Robinson degli Unrest che ha accudito per anni il nascituro indie-rock della costa atlantica e rimasta attiva fino agli anni ’90, insomma un altro mito caduto in rovina e dimenticato come pure sono andati per lo più dimenticati i Flowers of Discpline, loro che miti non lo sono mai stati, ma un gruppo favoloso quello sì.
Si presentano con na voce particolare, forse non per tutti i gusti con quel suo cantato-recitato che comunque non è proprio nuovo dalle parti di Washington, e un raro buon gusto per la melodia che te li fanno digerire sin dal primo ascolto.
Scrivono canzoni come fossero puzzle con tutte le tessere da incastrare al posto giusto, suonano le chitarre in un modo che mi fa andare completamente fuori di testa: agili ed eleaborate, di una raffinatezza rara, illuminanti nel saper rendere ogni brano imprevedibile e stupefacente. Capaci di cambiare umore ogni quindici secondi, mille volte nel correre di cinque canzoni. Una più bella dell’altra.

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Mattia